In occasione dell’anniversario dell’omicidio di Peppino Impastato, l’Ass.ne “La Via del Fare” ha deciso di porre un piccolo ma significativo segno concreto sulla “Strada della Legalità”, iniziando a far disegnare, dai suoi volontari, alcune “ORME GIALLE” in prossimità della sua sede storica e si è prefissa di far completare questo stesso percorso, dandogli un significato di volta in volta unico come direzione, coinvolgendo da settembre gli studenti del Municipio, come primi creatori, sostenitori e testimoni della Legalità nei quartieri dove vivono ed in cui loro rappresentano la vera speranza per un futuro più.
Alla fine dei vari percorsi di tante Orme Gialle, che confluiranno nella sede di Via dei Colombi, il progetto di sensibilizzazione alla Legalità prevederà la proiezione del film “CENTO PASSI” ed una video intervista alla mamma di Peppino, Felicia Bortolotto, che ebbe il coraggio di puntare il dito, senza esitare, durante un processo contro il boss Badalamenti e di accusarlo con voce ferma, di essere il vero mandante dell’omicidio del figlio.
Questa grande donna ha raccontato fino all’ultimo respiro le pesanti prese di posizioni del figlio, in favore della cultura della legalità e delle nuove generazioni, chiedendo ai partecipanti, al termine di ogni incontro, di tenere “sempre la TESTA ALTA e la SCHIENA DRITTA” .
Con la nostra Associazione vogliamo convintamente riprendere il messaggio educativo di questa sua integrità morale, tenendo sempre viva la cultura della Legalità e la memoria degli eventi storici accaduti.
In onore della devozione di mamma Felicia per il sacrificio della vita di suo figlio, è significativo riportare questo brano che la ritrae in grande autenticità.
Dalla pagina Peppino Concorso Impastato:
“Chistu unn’è me figghiu…” Chisti un su li so manu,chista unn’è la so facci. Sti quattro pizzudda di carne un li fici iu. Me figghiu era la vuci chi gridava ’nta chiazza eru lu rasolu ammulatu di li so paroli era la rabbia, era l’amuri chi vulia nasciri, chi vulia crisciri. Chistu era me figghiu quannu era vivu, quannu luttava cu tutti: mafiusi, fascisti, omini di panza ca un vannu mancu un suordu patri senza figghi, lupi senza pietà Parru cu iddu vivu un sacciu parrari cu li morti. L’aspettu iornu e notti, ora si grapi la porta trasi, m’abbrazza, lu chiamu, è nna so stanza chi studìa, ora nesci, ora torna, la facci niura come la notti, ma si ridi è lu suli chi spunta pi la prima vota, lu suli picciriddu. Chistu unn’è me figghiu. Stu tabbutu chinu di pizzudda di carni unn’è di Pippinu. Cca dintra ci sunnu tutti li figghi chi un puottiru nasciri di n’autra Sicilia.” |
“Questo non è mio figlio. Queste non sono le sue mani questo non è il suo volto. Questi brandelli di carne non li ho fatti io. Mio figlio era la voce che gridava nella piazza era il rasoio affilato delle sue parole era la rabbia, era l’amore che voleva nascere, che voleva crescere. Questo era mio figlio quand’era vivo, quando lottava contro tutti: uomini di panza, che non valgono neppure un soldo padri senza figli, lupi senza pietà Parlo con lui vivo non so parlare con i morti. L’aspetto giorno e notte, ora si apre la porta entra, mi abbraccia, lo chiamo, è nella sua stanza a studiare, ora esce, ora torna, il viso buio come la notte, ma se ride è il sole che spunta per la prima volta, il sole bambino. Questo non è mio figlio. Questa bara piena di brandelli di carne non è di Peppino. Qui dentro ci sono tutti i figli non nati di un’altra Sicilia.” |
Felicia Bortolotto Impastato
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